mercoledì 7 settembre 2016

Il declino degli avvoltoi indiani

Primo piano di un gipeto
In India sono presenti ben nove specie di avvoltoi, dei quali cinque appartengono al genere gyps, bengalensis, himalayanensis, fulvus, indicus e tenuirostris, mentre gli altri appartengono a generi differenti, il sarcogyps calvus, il neophron percnopterus, il gypetus barbatus e l’aegypius monachus.
In italiano, i loro probabilmente più noti e diffusi nomi sono rispettivamente: grifone dorsobianco del Bengala, grifone dell’Himalaya, grifone, grifone indiano, avvoltoio beccosottile, avvoltoio calvo, capovaccaio, gipeto ed avvoltoio monaco.

Purtroppo dai primi anni ’90, nel subcontinente indiano, si è verificato un drastico declino che ha ridotto molte specie sull’orlo dell’estinzione.
La causa è stata individuata nell’uso del diclofenac, un comune antinfiammatorio utilizzato sia per gli esseri umani, ma soprattutto per i bovini, alimento principale degli avvoltoi, per i quali è velenosissimo.
A seguito di questa scoperta, India, Pakistan e Nepal nel 2006 hanno bandito l’uso del diclofenac, sostituendolo con l’equivalente meloxican, completamente innocuo per gli avvoltoi.
Purtroppo però i risultati scarsano ad arrivare e, seppur il declino sia passato da un meno 80-99% all’anno a circa il meno 20-40%, pare che per riattestare i livelli a quelli precedenti bisognerà aspettare alcune decine d’anni.
Oltretutto, col passare del tempo e quindi un maggior sviluppo ed inurbamento dell’India, anche le condizioni ottimali per gli avvoltoi di una trentina di anni fa stanno decisamente diminuendo.
Il più grande centro di macellazione di Delhi a quei tempi era in grado di attirare qualcosa come 15 mila avvoltoi che si occupavano di smaltire le carcasse e, seppur il sistema fosse piuttosto efficiente, c’è da aspettarsi che oggigiorno ne venga usato qualcuno più moderno.

Tra le varie specie di avvoltoi, non tutte hanno subito lo stesso declino drammatico, che ha colpito in particolare gli avvoltoi del genere gyps;  il bengalensis, l’indicus ed il tenuirostris, per esempio, hanno raggiunto livelli intorno al 97-98%, mentre l’hymalayensis ed il fulvus sono stati meno colpiti poiché il primo vive soprattutto in montagna (dove la dieta degli avvoltoi non è limitata solo ai bovini come nelle pianure), mentre il secondo trascorre in India solo l’inverno.
Al momento, secondo la classificazione dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature), delle 9 specie indiane ben 4 sono in pericolo critico (il grifone dorsobianco del Bengala, il grifone indiano, l’avvoltoio beccosottile e l’avvoltoio calvo) a due soli gradini dall’estinzione secondo la scala a 7 livelli dell’IUCN.
Il capovaccaio si trova invece un gradino più su, in pericolo non critico, senza contare che al di fuori dell’India ne esistono altre due sottospecie con ampi areali in Asia, Africa e perfino Europa (in Spagna), tanto che il nome inglese è egyptian vulture.
Quindi il grifone dell’Himalaya, il gipeto e l’avvoltoio monaco in India sono considerati vicino alla minaccia cioè al secondo gradino più alto, lasciando il solo grifone a rischio minimo.

Questo improvviso calo di grandi animali necrofagi ha avuto numerose conseguenze, tra cui il proliferare di topi, cani, corvi e nibbi, che però non sono efficienti consumatori di cadaveri come gli avvoltoi.
Questi infatti rappresentano il vicolo cieco di molti agenti patogeni, che vengono distrutti dall’eccezionalmente corrosivo acido dello stomaco, mentre topi e cani possono diventare portatori di numerose malattie gravissime come ad esempio la rabbia e l’antrace.

Anche la piccola ma influente comunità zoroastriana indiana (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/il-zoroastrismo-in-india.html) è stata toccata da questo improvviso calo di avvoltoi, a causa dei loro particolari riti funebri che prevedono che il cadavere del defunto venga posto in appositi edifici circolari, chiamati Torri del Silenzio, dove vengono consumati appunto da numerosi avvoltoi appollaiati nei paraggi.
Nonostante il numero esiguo e sempre calante degli appartenenti allo zoroastrismo, questa tradizione era ancora molto diffusa fino agli anni ’90, in particolare su una collina di un quartiere benestante di Mumbai, dove abita una folta comunità zoroastriana, sulla cima della quale si trova un grande parco alberato dove vi sono ben 3 torri del silenzio.
Prima del drastico declino degli avvoltoi, in media un cadavere veniva consumato in circa due giorni, rendendo eventuali rischi igienico-sanitari minimi, ma con l’assenza dei grandi volatili necrofagi, i tempi si sono allungati fino ad addirittura 5-6 mesi.

Alcuni zoroastriani stanno lentamente iniziando a seppellire o bruciare i corpi, altri invece hanno proposto di allevare alcuni avvoltoi per utilizzarli in caso di necessità.

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